Nel Diritto Civile Italiano, la Caparra è una somma di denaro o una quantità d’altre cose fungibili, versata a titolo di reciproca e mutua garanzia dell’esatto adempimento del contratto ovvero come corrispettivo per il caso di recesso dal contratto.
La sua funzione è quindi quella di prevedere una sorta di risarcimento immediato nel caso di inadempienza contrattuale e in caso di adempimento (quindi mantenimento esatto dei patti concordati) deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Al momento della redazione della Proposta di Acquisto e successivamente, alla sottoscrizione del Preliminare di Compravendita (Compromesso), le parti pattuiscono che una versi all’altra una somma di denaro a titolo di Caparra, con funzioni ed effetti diversi a seconda che si tratti di Caparra Confirmatoria o Caparra Penitenziale, di differente natura rispetto alla Clausola Penale.
Vediamo quali sono le differenze, partendo dalle norme previste dal codice civile, che regola i due tipi di Caparra previste agli artt. 1385 (Confirmatoria) e 1386 (Penitenziale).
CAPARRA CONFIRMATORIA
La Caparra Confirmatoria ha lo scopo di garantire l’adempimento delle prestazioni contrattuali, costituendo allo stesso tempo un anticipo sul risarcimento in caso di inadempimento.
Più precisamente, nel caso in cui le parti eseguano correttamente le loro prestazioni, le stesse hanno la facoltà di stabilire se restituirla a chi l’ha versata o imputarla a titolo di acconto prezzo; nel caso di inadempimento, invece, la funzione risarcitoria della Caparra è regolata dall’art. 1385 c.c. in relazione al soggetto inadempiente.
Se, infatti, se chi non adempie alla propria prestazione è chi ha versato la Caparra, l’altra parte ha diritto a trattenerla, esercitando il diritto di recesso dal contratto, qualora si ritenga così risarcito del danno subito.
Se al contrario, ad essere inadempiente è colui che ha ricevuto la Caparra, la controparte ha diritto di recedere dal contratto ed esigere un importo pari al doppio di quella versato, al fine di reintegrare il danno subito.
In entrambi i casi la parte adempiente può, in alternativa, decidere di far valere la risoluzione del contratto e di chiedere il risarcimento del danno, indipendentemente dall’importo della Caparra che potrà essere imputata in conto risarcimento o eventualmente da questo scomputata, in base all’esito del giudizio che il danneggiato dovrà intentare per l’accertamento e la quantificazione del danno.
CAPARRA PENITENZIALE
Al momento della stipula del contratto è possibile anche prevedere il versamento di una Caparra Penitenziale, in caso di recesso dal contratto di una delle parti; la differenza con la Caparra Confirmatoria, pertanto, è nella causa, cioè nel fatto che la Confirmatoria è prevista in caso di inadempimento contrattuale mentre la Penitenziale in caso di esercizio – ove legittimato – del diritto di recesso.
La Caparra Penitenziale, dunque, è il corrispettivo del recesso, cioè il Prezzo che una parte deve sopportare per esercitare un diritto che, in ogni caso, pregiudica le aspettative dell’altra nella stabilità del contratto.
Secondo il dettato dell’art. 1386, se nel contratto viene stipulato il diritto di recesso per una o per entrambe le parti, la Caparra ha la sola funzione di corrispettivo del recesso; in questo caso, il recedente perde la Caparra data, o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuta.
SE NON E’ SPECIFICATO IL TIPO DI CAPARRA
Qualora nel contratto preliminare sottoscritto non fosse specificato il tipo di Caparra scelto dalle parti, questa si intenderà versata a titolo di Caparra Confirmatoria ex art. 1385 c.c.
CLAUSOLA PENALE
Per completezza di informazione, entriamo anche brevemente nel merito della Clausola Penale o semplicemente “Penale”, comunemente inserita nei più svariati contratti, con la quale si conviene che, in caso di mancato o ritardato adempimento, la parte responsabile debba versare all’altra una determinata somma, il cui importo è stabilito in contratto; la differenza con la Caparra Confirmatoria, pure prevista per l’ipotesi d’inadempimento, sta dunque nel fatto che la Caparra è versata in anticipo rispetto all’esecuzione del contratto, mentre il versamento della penale è eventuale e dovuto solo nel caso di inadempimento. Lo scopo della penale è quello di limitare il risarcimento alla somma pattuita nella clausola, salvo diversa volontà delle parti e, allo stesso tempo, di agevolare l’eventuale giudizio per il pagamento della penale che non dovesse essere versata spontaneamente dal soggetto inadempiente; il codice civile prevede infatti, all’art. 1382, che la penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno subito dalla parte adempiente.
Il Titolo II – Capo III – è uno strumento, attuato dalla Regione Puglia, per facilitare lo sviluppo delle attività economiche in questa regione.
Ne possono beneficiare le micro imprese che occupano meno di 10 persone e che realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro, le imprese di piccole dimensioni che occupano meno di 50 persone e che realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio non superiori a 10 milioni di euro e le imprese di medie dimensioni che occupano meno di 250 persone e realizzano un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure il totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
Le imprese sopra elencate devono operare in una delle seguenti categorie:
Imprese artigiane, costituite anche in forma cooperativa o consortile;
Imprese che realizzano programmi di investimento nel settore del commercio:
esercizi commerciali di vendita al dettaglio e all’ingrosso classificati esercizi di vicinato (superficie di vendita non superiore a 250mq);
esercizi commerciali di vendita al dettaglio e all’ingrosso classificati M1 (medie strutture con superficie di vendita da 251 a 600 mq);
esercizi commerciali di vendita al dettaglio d all’ingrosso classificati M2 (medie strutture con superficie di vendita da 601 a 1500mq);
servizi di ristorazione di cui al gruppo “56” della “Classificazione delle Attività economiche ATECO 2007”, ad eccezione delle categorie “56.10.4” e “56.10.5”;
attività di commercio elettronico (per commercio elettronico si intende l’attività commerciale svolta la tramite la rete internet);
sezione “C”: imprese che realizzano investimenti riguardanti il settore delle attività manifatturiere – “Classificazione delle Attività economiche ATECO 2007”;
sezione “F”: settore delle costruzioni – “Classificazione delle Attività economiche ATECO 2007”;
sezione “J”: settore dei servizi di comunicazione ed informazione – “Classificazione delle Attività economiche ATECO 2007”;
sezione “Q”: sanità e assistenza sociale – “Classificazione delle Attività economiche ATECO 2007”.
Sono invece escluse le aziende operanti nei settori, pesca e acquacoltura, costruzione navale, industria carboniera, siderurgia, fibre sintetiche, attività connesse con la produzione primaria (agricoltura e allevamento), trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli in specifici casi.
Sono ammissibili progetti di investimento di importo noninferiori a €30.000 per la creazione di una nuova unità produttiva, l’ampliamento di una unità produttiva esistente, diversificazione della produzione di uno stabilimento esistente per ottenere prodotti maifabbricati precedentemente e il cambiamento fondamentale del processo di produzionecomplessivo di un’unità produttiva esistente.
Sono ammesse le spese per:
a) l’acquisto del suolo aziendale e sue sistemazioni entro il limite del 10% dell’importo dell’investimento in Attivi materiali;
b) opere murarie e assillabili;
c) acquisto di macchinari, impianti e attrezzature varie nuovi di fabbrica;
d) investimenti finalizzati al miglioramento delle misure di prevenzione dei rischi, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Mentre non sono ammissibili le spese notarili e quelle relative a imposte e tasse, le spese relative all’acquisto di scorte, le spese relative all’acquisto di macchinari e attrezzature usati, titoli di spesa regolati in contanti, le spese di pura sostituzione, le spese di funzionamento in generale, le spese in leasing, tutte le spese non capitalizzate, le spese sostenute con commesse interne di lavorazione, anche se capitalizzate ed indipendentemente dal settore in cui opera l’impresa, titoli di spesa con importo complessivo dei beni inferiore a € 500,00,acquisto di beni non strettamente funzionali e non a uso esclusivo dell’attività d’impresa, acquisto di beni facilmente deperibili, acquisto di mezzi mobili non sono ammissibili le spese di IPT, messa su strada, immatricolazione, le forniture attraverso un contratto “chiavi in mano”.
Il Titolo II prevede quindi un contributo in conto Impianti determinato sul montante degli Interessi di un finanziamento concesso da un Soggetto Finanziatore. L’intensità del contributo non potrà superare il 35% per le medie imprese ed il 45% per le piccole e microimprese.
Il contributo in conto impianti calcolato sul montante degli interessi comprenderà l’eventuale preammortamento per una durata massima di 12 mesi per i finanziamenti destinati all’acquisto di macchinari ed attrezzature ed una durata massima di 24 mesi per finanziamenti destinati all’ampliamento dello stabilimento.
Qualunque sia la maggior durata del contratto di finanziamento, il contributo in conto impianti determinato sul montante degli interessi sarà calcolato con riferimento ad una durata massima del finanziamento (al netto dell’eventuale periodo di preammortamento) di:
sette anni per i finanziamenti destinati alla creazione, all’ampliamento e/o all’ammodernamento dello stabilimento;
cinque anni per i finanziamenti destinati all’acquisto di macchinari, attrezzature, brevetti e licenze.
Le agevolazioni saranno calcolate su un importo finanziato massimo di € 4.000.000 in caso di medie imprese e € 2.000.000 in caso di piccole e microimprese.
Per gli investimenti di nuovi macchinari ed attrezzature potrà essere erogato un contributo aggiuntivo in conto impianti che non potrà essere superiore al 20% per un importo massimo erogabile di € 800.000 per le medie imprese e € 400.000 per le piccole e microimprese.
Per le imprese che hanno conseguito il rating di legalità, l’import massimo del contributo in conto impianti è elevato rispettivamente a € 850.000 e a € 450.000.
Il rione “Terra”, ovvero il centro storico di Ostuni, nella sua massima espansione si viene a trovare quasi su di uno strapiombo, oggi in parte livellato da terrazzamenti agricoli e dalla costruzione di vie di comunicazione. Per questo motivo alcuni torrioni risultano oggi come sprofondati.
Il paese è situato su di una collina e poggia su di un terreno affiorante di tipo roccioso carsico: un tempo questa porzione di territorio ai piedi della cinta era abitata, difatti molte delle rocce affioranti sono state lavorate per definire spazi per il lavoro o il sedime di case. È ancora visibile una porzione di muro a sacco che si innesta da una torre, forse di un’abitazione.
Alcune abitazioni presentano un piano semi-interrato o interrato, talvolta coincidente con la struttura di frantoi ipogei, ovvero di grandi stanze ipostile per la lavorazione delle olive. Questi locali sottoposti sono in corrispondenza ad un salto di quota per cui posseggono finestre solo da un lato.
Alcune costruzioni trovano la loro collocazione al di sopra delle cinte murarie preesistenti, come ad esempio l’ex convento di clausura delle Benedettine – costruito nel 1530 – che ha la sua sede sul sedime delle mura angioine, ancora visibili nei sotterranei dello stesso.
Le abitazioni tipiche.
La differenza maggiore si nota fra le costruzioni di tipo “povero” e quelle più nobili e signorili.
Nella prima categoria includiamo tutte le abitazioni del popolo, costituite solitamente da tre vani e accesso diretto su strada. Si dice infatti “sala, arcuéve e cammarìne” la tipica casa costituita da una sala (salotto e cucina), alcova sotto cui stava il letto matrimoniale e la cameretta per i bambini. In questa prima disposizione non trovava luogo il bagno, che inizia a comparire invece solo nel XX secolo o all’interno delle case, se disponevano di spazi più grandi, oppure all’esterno o come piccoli aggetti o come chiusura di terrazzi prima esistenti.
Solitamente costruite ad un unico livello, oggi spesso unite mediante l’inserimento di scale interne non sempre congrue, talvolta tagliando le volte esistenti. La casa terranea era detta “sottana” ovvero al piano di sotto (piano terra), mentre quella al primo piano era detta “soprana”. Per questo si assiste ad un’edilizia che varia tra 2 e al massimo 3 livelli. Se la casa al piano superiore era realizzata in concomitanza con quella al piano inferiore, la scala era realizzata internamente preferibilmente chiusa da una voltina a botte con la stessa pendenza della scala. In questo modo la scala era affiancata alle stanze, senza tagliarne le volte.
Dato il grande dislivello da superare (una stanza voltata può raggiungere anche i 3,50 o 4,00 m) e volendo occupare solo un lato della casa, l’alzata dei gradini risulta particolarmente elevata, e difatti per ridurla si usa spesso già portarsi ad una quota maggiore su strada.
Nel caso in cui la sopraelevazione risulta successiva, si assiste alla creazione di scale esterne, talvolta con piccoli ballatoi per distribuire al più due o tre appartamenti. In questo caso, circa la questione statica, si devono indagare le connessioni fra la casa a piano terra e quella a primo piano e se la prima è capace di sopportare questa aggiunta di carico.
Alla fine del XVI secolo, durante la costruzione dei rioni extra moenia, si usava già preparare la scala che conduceva al terrazzo accanto della casa a piano terra, in modo tale che se si fosse voluto sopraelevare l’abitazione, non si sarebbe dovuto tagliare alcun solaio, né occupare la strada pubblica. Passeggiando oggi per questi rioni si assiste in alcuni punti alla cristallizzazione di questo modo di procedere alla costruzione.
Un’altra tipologia tipica era la casa con bottega, dove quest’ultima trovava l’ingresso in un portone più grande e che termina con una chiusura ad archetto. La casa del padrone ha un ingresso indipendente a lato del portone della bottega e si sviluppa al piano superiore.
Le scale erano larghe 3 palmi equivalenti a circa 78 cm, e il materiale da costruzione dei gradini, nelle scritture notarili, era specificato l’uso del carparo, le cui cave erano poco distanti dal centro.
Nel centro storico non mancano costruzioni più signorili, nate nei vari secoli accorpando più abitazioni o ricostruendo porzioni di isolati. Queste abitazioni solitamente sono composte da due livelli e sono riconoscibili dall’esterno grazie ai portali finemente decorati e all’arme, ovvero agli scudi decorativi con lo stemma ed il motto delle famiglie.
Altra tipologia di case sono quelle a corte, talvolta appartenente ad una sola famiglia ma molto spesso su cui si affacciano anche più case. Questo modo di costruire è proprio dell’epoca normanna e assicurava alle famiglie di poter avere un piccolo spazio all’aperto in cui coltivare qualcosa.
Nella Terra vi erano inoltre alcuni spazi cintati tenuti a giardino od orto, che avrebbero assicurato in caso di assedio una possibilità di rifornimento di viveri di prima necessità. Vi erano inoltre cisterne, spesso di semplice raccolta delle acque meteoriche convogliate dai tetti, che invece servivano per rifornirsi di acqua.
Materiali da costruzione e murature.
Nella terra di Ostuni le cave principali sono di pietra calcarea o calcarenitica, la quale è usata sia come materiale da costruzione che per ricavare l’intonaco per i rivestimenti. La pietra ostunese, in particolare, è un calcare compatto color bianco avorio ed è ottimo perché pur essendo compatto è allo stesso tempo duttile nella lavorazione e resistente agli agenti atmosferici in virtù d’una patina brunastra che, formandosi col passar degli anni, lo rende immune dall’erosione.
Tale materiale, insieme alla così detta pietra gentile, venivano lavorate con gli scalpelli per definire modanature e decorazioni, come l’arme (stemmi nobiliari) e le cornici di porte e finestre. Con la calce si realizza sia la malta per l’allettamento delle pietre, che il latte di calce per le finiture ad intonaco. Questo veniva passato ogni anno su tutte le costruzioni per cui risulta ancora leggibile in molti punti della città la stratificazione.
Tutte le architetture di maggior pregio (Chiese e palazzotti nobiliari) sono costruite con la pietra di Ostuni lasciata a vista, mentre le case del popolo erano costruite principalmente con tufo o pietre meno pregiate poi imbiancate a calce. Oltre al pregio legato alla materia, vi è un pregio legato alla lavorazione della stessa. I conci sono sempre squadrati ma con molta più precisione e attenzione nell’edilizia aulica, che quindi vede corsi più alti e meno malta di allettamento. Al contrario nelle abitazioni povere i conci sono solo sbozzati con strumenti meno precisi e quindi necessitano di maggiore malta per l’allettamento.
Una regolarità nella definizione dell’apparecchiatura muraria ovvero l’uso di conci di dimensione sempre uguale e la presenza di poca malta di allettamento insieme a una distribuzione sfalsata dei giunti verticali, garantisce una migliore risposta ad eventuali sollecitazioni orizzontali.
Lo spessore delle pareti è elevato e si aggira attorno ai 40 cm minimo, permettendo così la creazione di nicchie di varie dimensioni. La muratura era solitamente costruita a sacco, ovvero creando due paramenti con conci di pietra più regolari e riempiti con pietre di dimensione inferiore e irregolari. Anche i palazzi signorili presentano l’uso di muratura a sacco ma più stabile grazie ai diatoni di collegamento dei due paramenti.
Solai e coperture.
Inizialmente i solai di interpiano furono definiti con l’uso delle travi di legno con rivestimento in cannicciato e paglia, sostituiti poi con volte in pietra soprattutto a seguito degli eventi sismici. In pochissimi punti della città vi sono ancora oggi tracce dei legni usati nella costruzione.
All’interno del Museo delle Arti Preclassiche, ovvero dell’ex Monastero delle Monache Carmelitane, si vede un pezzo del torchio per la produzione del mosto, tagliato e posato per creare l’architrave di una porta. In altri punti della città si legge l’uso del legno sempre come architrave, sia di porte che di nicchie. Oggi invece tutte le stanze sono chiuse da volte in pietra di diversa tipologia. Nel Salento sono usate delle forme differenti dal resto d’Italia ed in particolare troviamo le volte a botte con unghie, le volte a squadro e le volte a stella con quattro od otto punte. Le volte botte semplici sono utilizzate per camere di dimensione minore o per le alcove.
Le volte a stella, dette anche a spigolo, nascono nel XVII secolo e trovano la loro diffusione maggiore nel Salento poiché sono caratterizzate dall’uso della pietra calcarea. Sono un tipo di volta molto complesso e composto da varie fasi costruttive. Prima di tutto si costruiscono quattro pilastri quadrangolari su cui si impostano i pennacchi detti appigli o appese in dialetto. I pennacchi, assimilabili a una specie di pulvino dalla forma tronco-piramidale, aiutano a definire l’orientamento degli archi e a ridurne l’ampiezza, poiché aumentano la dimensione dell’apice del piedritto su cui poggia la volta. Le forze verranno scaricate su questi pilastri, per cui la muratura laterale risulterà un tamponamento non necessario ai fini strutturali.
Vengono installate poi le formate, ovvero gli archi che determinano la lunghezza e l’altezza della volta, e che collegano i vari pilastri a definire il perimetro della stanza. A partire dalle formate, si innestano due calotte simili a volte a botte, dette unghie, ed un’ulteriore calotta che contiene la chiave di volta. Il risultato è una volta molto simile ad una crociera ma con un disegno stilizzato di una stella.
Esiste anche una forma così detta a stella doppia o a otto punte, poiché in ogni pennacchio giungono 2 punte. Il pilastro che sostiene la volta è a forma di L. Il processo costruttivo è il medesimo, tranne che si viene a creare uno spazio fra le due punte per ogni angolo che verrà chiuso da un elemento tipo cuneo detto cappuccio.
La volta a stella a 4 punte copre spazi più piccoli con lato di dimensione compresa fra 4,00 e 5,50 metri, mentre se con 8 punte si possono coprire spazi di lato minimo 6,00 metri.
Circa le coperture, la maggior parte è prettamente di tipo piano, caratterizzata dal così detto lastrico solare in battuto di terra, con chianche di colore grigio scuro che seguono l’andamento degli estradossi delle volte. Pochissime abitazioni e le Chiese terminano invece con un tetto a falda doppia e copertura in coppi.
La costruzione di volte in pietra, a botte o a crociera è stata utilizzata anche per ricavare stanze costruite a cavallo di strade. Lungo le vie di assiste infatti ad una serie di archi, solitamente di tipo rampante isolati o a tutto sesto con sopra l’abitazione. Questo garantisce che gli sforzi sono divisi equamente a destra e a sinistra su entrambe le murature. Le gallerie che così si definiscono hanno lunghezza differente ospitando una o due stanze al massimo, solitamente con ad un piano solo tranne per alcuni casi in cui si assiste a due stanze sovrapposte.
Per far sì che un investimento
abbia successo e sia redditizio non basta fare supposizioni generiche e
personali: calcola la redditività di un immobile e assicurati un
acquisto che ti possa dare frutti negli anni a venire.
Valutazioni precise portano a un maggior rendimento dell’investimento
Gli investimenti non devono
essere visti come un colpo di fortuna dall’esito quasi impossibile da
prevedere; al contrario, quando si acquista un immobile con lo scopo di trarne
un ritorno economico, è molto importante fare in anticipo le dovute
valutazioni a breve e a lungo termine. Più si è in grado di effettuare
valutazioni precise, maggiore sarà anche la precisione della previsione del
rendimento del proprio investimento immobiliare.
Quando
si parla di investimenti immobiliari, è sempre opportuno verificare
che il proprio immobile sia davvero una fonte di reddito e non una spesa,
altrimenti non ha senso tenerlo nel proprio portafoglio immobili ed è
consigliabile venderlo al più presto.
E’ necessario ed opportuno ricercare una serie di
informazioni prima di effettuare un acquisto importante come un immobile, per
esempio analizzando l’appetibilità attuale della localizzazione dell’immobile e
i potenziali cambiamenti attesi nel quartiere circostante. Ma l’informazione
fondamentale che permette agli investitori di prendere una decisione, è senza
dubbio il tasso di rendimento o di redditività di un immobile.
Scopri come calcolare il tasso di rendimento di un
immobile
I 3 step per il calcolo
della redditività di un immobile:
Calcolare il reddito lordo annuo dell’immobile
Sottrarre i costi operativi
Dividere
per il prezzo d’acquisto
Vediamoli ora
nel dettaglio.
Per prima cosa dovresti
calcolare il reddito lordo annuo dell’immobile su cui si è investito
Il reddito lordo di un immobile è dettato
principalmente dall’appetibilità alla locazione. In altre parole, quando si acquista un immobile come
investimento, di solito se ne ricava un profitto semplicemente affittandolo a
degli inquilini.
Per esempio, hai appena acquistato un immobile che
vorresti dare in affitto ad un prezzo di €500/mese. Con questo canone di
affitto, ti aspetterai di incassare esattamente 500 × 12 = €6.000 all’anno di
reddito lordo prodotto dalla proprietà.
A questo punto, sottrai dal
reddito lordo i costi operativi relativi alla proprietà
Detenere la proprietà di un immobile sottintende dei
costi da sostenere, ovvero costi di manutenzione, assicurazione, tasse e spese
di gestione dell’immobile. Una volta individuati e sommati questi costi,
sottraili dalla somma dal reddito lordo che hai appena calcolato: questo
è il reddito netto del fabbricato.
Per
esempio, supponi che dopo aver stimato l’immobile da affittare, hai calcolato
che dovrai sostenere ogni anno €500 di costi per la gestione dell’immobile,
€250 di manutenzione, €200 di tasse e €350 di assicurazione. Dunque, €6.000 –
€500 – €250 – €200 – €350 = €4.700, questo è il reddito netto della tua
proprietà.
Ora
dividi il reddito netto per il prezzo di acquisto dell’immobile
Il tasso di rendimento è dato dal rapporto
tra il reddito netto della proprietà e il suo prezzo originario e viene espresso in forma percentuale.
Identificato il valore complessivo di acquisto e
determinato il reddito netto, ora non ti resta che fare una semplice divisione
tra il reddito netto e l’importo totale dell’acquisto dell’immobile.
La formula ti permette di determinare la redditività
netta dell’operazione immobiliare: Redditività % = (Reddito Netto / Costo Complessivo
Acquisto) x 100.
Supponi di aver acquistato l’immobile a €50.000.
Fornito questo dato, hai tutti gli elementi necessari per determinare il
tasso di rendimento.
Riprendendo
i dati precedenti: €4.700 (reddito netto) / €50.000 (prezzo d’acquisto) = 0,094
= tasso di rendimento 9,4%.
Utilizza in modo intelligente il Tasso di Rendimento
Calcolato il tasso di rendimento, puoi iniziare a confrontare
velocemente diverse opportunità di investimento simili a quella che vuoi
intraprendere.
In breve, il tasso di rendimento rappresenta il
ritorno percentuale stimato che si potrebbe ottenere con l’acquisto di un
immobile. Per questo motivo, il tasso di rendimento è un ottimo indicatore che puoi utilizzare per confrontare un potenziale
acquisto con altre opportunità di investimento simili.
Il tasso di rendimento permette di effettuare
confronti semplici e veloci delle potenziali entrate provenienti da proprietà
immobiliari acquistate a scopo di investimento e può essere utile per restringere
la lista delle scelte possibili.
Per
esempio, supponi di dover valutare l’acquisto di due immobili nello stesso
quartiere: uno ha un tasso di rendimento del 9%, mentre l’altro del 14%. Questo
confronto iniziale fa prediligere il secondo immobile, ovvero ci si aspetta che
questo generi più denaro per ogni euro investito per acquistarlo.
Non usare il tasso di rendimento come unico indicatore per
determinare la qualità di un investimento
Sebbene il tasso di rendimento dia la possibilità di
confrontare due o più unità immobiliari, non è certo l’unico elemento da tenere in
considerazione. Gli
investimenti immobiliari possono essere abbastanza complicati: investimenti
apparentemente semplici potrebbero diventare oggetto di speculazioni di mercato
e di eventi imprevisti che vanno al di là della portata del semplice calcolo
del tasso di redditività di un immobile. Come minimo, dovresti
anche considerare il potenziale di crescita del reddito prodotto dall’immobile,
come anche le variazioni di valore della proprietà stessa.
Per
esempio, supponi di acquistare un immobile a €750.000, calcolando di guadagnare
dalla messa a reddito dello stesso ogni anno €75.000, quindi ciò che ti aspetti
è di avere un tasso di rendimento del 10%. Se il mercato immobiliare locale si
modifica e il valore dell’immobile aumenta a €1.500.000, improvvisamente avrai
un tasso di rendimento meno profittevole, pari al 5%. In questo caso potrebbe
essere saggio vendere l’immobile e investire i relativi profitti in un altro
investimento.
Utilizza il tasso di rendimento per giustificare il livello
di reddito dell’immobile
Se si è a conoscenza del tasso di rendimento medio
nella zona in cui è situato l’immobile, si può usare questa informazione per determinare il
reddito che la proprietà deve produrre affinché l’investimento sia conveniente.
Per farlo, basta moltiplicare semplicemente il prezzo
richiesto per l’acquisto, per il tasso di rendimento di immobili simili nella
zona, trovando così il reddito netto consigliato.
Per
esempio, se hai acquistato un immobile per €500.000 in una zona in cui la gran
parte delle proprietà simili hanno un tasso di rendimento di circa l’8%, puoi
calcolare il reddito consigliato moltiplicando 500.000 × 0,08 = €40.000. Questo
rappresenta il reddito netto che l’immobile dovrebbe produrre ogni anno per
avere un tasso di rendimento pari all’8%, quindi dovrai adeguare di conseguenza
il relativo canone di locazione.
Calcolare la redditività di un immobile è necessario ma non
sufficiente!
Il
tasso di rendimento non tiene conto dei rischi futuri, dunque non si può fare affidamento solo sul tasso di
redditività di un immobile per supporre che esso sia in grado di assicurare il
reddito o il valore attuale.
L’immobile e i relativi affitti possono apprezzarsi o
deprezzarsi nel corso del tempo e le spese potrebbero contestualmente aumentare
facendo sballare i conti. Il tasso di rendimento per calcolare la redditività
di un immobile può offrire una previsione sulla qualità
dell’investimento da fare, ma non consente di fare alcun tipo di previsione sui
rischi che riserva il futuro.
Nonostante ciò, trascorso ormai il periodo nero in cui
gli immobili hanno visto un rapido deprezzamento dovuto alla recessione
economica, l’investimento nel mattone resta ancora una delle migliori
opportunità per chi vuole ottenere dai propri risparmi una rendita in costante
aumento.
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